A conclusione di questo breve ciclo di
riflessioni dedicate alla ricerca del ‘DNA innovativo’ sarebbe interessante
scambiare alcune considerazioni su due
situazioni che, partendo da presupposti simili offrono atteggiamenti e
risultati diversi.
Ambiente A
Struttura direzionale di una Grande Azienda.
Ambiente B
Azienda Pubblica di servizi attiva nella Politica Culturale, che ha come
mission la formazione di risorse adeguate ai fabbisogni nazionali.
La nostra riflessione, senza
entrare nelle scelte politiche assegnate alle organizzazioni in esame dovrebbe analizzare atteggiamenti e risultati
collaborativi tenuti all’interno degli Ambienti e le connesse conseguenze
operative e produttive.
In entrambi gli ambienti si registra la presenza di professionalità
provenienti da aree tecnico-culturali estremamente ampie (economia, finanza,
ingegneria, scienze politiche, giurisprudenza, lettere, filosofia, fisica etc…).
Da una rapida osservazione esterna si nota che nella situazione (A) i professionisti
utilizzano gli stessi strumenti che sistematicamente vengono integrati ed
aggiornati, migliorati, adeguandoli alle necessità, a valle delle esigenze che
ciascun utilizzatore incontra e attraverso i reciproci suggerimenti scambiati
tra colleghi. Una sorta di WEB 2.0
ante litteram. Si svolgono frequenti incontri informali tra professionisti
appartenenti ad aree diverse, finalizzati a comprendere le specifiche
problematiche.
Nella situazione (B), invece,
non sembrano esserci né scambi né contatti tra i vari professionisti. O meglio,
gli incontri che esistono in maniera molto più cadenzata ed organica, non riguardano gli strumenti utilizzati, il loro
funzionamento e l’eventuale adeguamento/miglioramento. Si concentrano sulle
problematiche burocratiche che governano la produzione della documentazione
richiesta all’ambiente in cui operano, al solo scopo di predisporre una
documentazione ufficiale utilizzabile in caso di ‘necessità’[1].
Gli incontri tendono ad essere solo ‘formali’, quelli informali
finalizzati ad una comprensione delle reciproche problematiche sono pressochè
assenti. Tali attività non sono né previste né sollecitate, né, tanto meno,
perseguite dai professionisti operanti in questo ambiente.
Si potrebbe continuare a lungo nell’analisi, ma con gli elementi posti possiamo
già provare a trarre qualche considerazione.
Una prima riflessione da fare è quella indotta dal percorso appena
effettuato riguardo ai ‘talenti’ dell’Innovatore. Sembra piuttosto chiaro che
l’ambiente di tipo (B) non offra molte possibilità di sviluppo di detti
‘talenti’.
Anzi l’accento posto sulle problematiche burocratiche induce ad esaltare
un atteggiamento di salvaguardia individuale che porta a porre in secondo piano
la ricerca di Miglioramento ed Innovazione.
Porta al contrario all’esaltazione di un atteggiamento individualistico
che è l’esatto contrario della collaborazione necessaria allo Sviluppo.
Una considerazione immediatamente collegata alla precedente è quella che
riguarda la corretta utilizzazione delle competenze nell’ambito della fornitura
dei servizi.
Un ‘erogatore di servizi’ dovrebbe sempre chiedersi, infatti, se le
expertise dei dipendenti sono in linea con i loro compiti.
Spesso i professionals si lamentano di dover dedicare molto tempo e
spazio mentale ad attività che non richiedono le loro competenze tecniche, e
quindi potrebbero essere svolte da figure professionali con altre qualifiche.
Molti sono gli esempi, soprattutto in campo medico e nelle aree dei
paesi sottosviluppati, dove l’ ottimizzazione dell’assunto ha portato grossi
benefici alla popolazione; tali benefici sono spesso associati anche a
consistenti risparmi economici. (HBR n°12 2012 pag 56)
A vostro avviso, nella realtà, esistono ambienti di tipo (B)? Potreste
fare qualche esempio?
Quali altre osservazioni e suggerimenti possono essere effettuate ?
Proviamo a scambiarci qualche idea, proviamo a vedere cosa ne
scaturisce; magari accanto a “migliaia di esperimenti non riusciti” si riesce
ad individuare anche qualche soluzione INNOVATIVA, applicabile immediatamente…